Trasloco

Da oggi passo ufficialmente a Tumblr.
Non sembra migliore di WordPress e forse offre molte meno funzioni. Ma cambiar casa aiuta a cambiare occhi. Lo uso come pretesto per riprendere a scrivere.
Comunque, da oggi, il blog passa su http://gsassaroli.tumblr.com/

24 ottobre 2011 at 6:21 am Lascia un commento

Ascensori

Continuo a osservare persone che non sanno utilizzare i pulsanti di chiamata degli ascensori.
Premono la freccia in giu per dire all’ascensore di scendere al loro piano e invece in questo modo stanno dicendo che vogliono scendere.
Non ho numeri, ma a pancia potrebbe essere anche il 30% delle persone. Giovani inclusi.
Mi chiedo quanto questo incida sulla qualità percepita, sulla reale efficienza degli algoritmi e sul consumo energetico.
È un problema di usabilita’? Gli ascensori esistono da meta’ ottocento. I designer potrebbero giustificarsi con la consuetudine. Come se fosse necessario scrivere “accendi” e “spegni” sull’interruttore del frullatore anziché I e O.
Ma se in più di un secolo una interfaccia non è stata compresa, può significare che c’è dell’altro. Che ha qualcosa di innaturale in se? Magari perché di fronte a una macchina siamo più propensi a dare un ordine anziché rivelare le nostre intenzioni o qualcosa di noi. Se fosse così e se fosse generalizzabile, spiegherebbe il successo di alcuni strumenti e di alcuni servizi web.
Fa più successo un banner con su scritto “enlarge my penis” o uno con “My penis is short”?

5 gennaio 2011 at 9:52 am Lascia un commento

Seccante

La discontinuità del servizio di Anobii in questo periodo è veramente seccante. Mi invoglia a valutare alternative.

28 dicembre 2010 at 0:55 am 1 commento

L’eBook che fu Giovedì su iPhone

Un sacco di anni fa presi in prestito dalla biblioteca una edizione particolare del libro “L’uomo che fu giovedì”. Particolare perchè si trattava di un libriccino di 2 cm per 4.

Ho acquistato Gomorra, di Saviano, su Biblet e sto provando a leggerlo su iPhone con BlueFire Reader.

18 ottobre 2010 at 11:26 am Lascia un commento

Cambiamenti

È qualche tempo che medito sulla mia breve carriera e sui cambiamenti che ci sono stati.
Nel 2001 ho iniziato al CEFRIEL come sviluppatore Java. Mi reputavo anche bravo. Sognavo di fare l’architetto sw da grande. Un progetto dietro l’altro. Nuove architetture. Nuove tecnologie.
A ripensarci ora mi viene in mente un bimbo di quinta elementare che conobbi anni fa. Che mi chiese se in prima media avrebbe imparato le tabelline dell’11, del 12 e così via. Più si cresce più complicate son le tabelline.
E invece no. Il bello è fare altro.
Nel 2009 ho scritto la mia ultima riga di codice. Lo dico con un pochino di amarezza perché la passione per lo sviluppo ce l’ho nell’anima.
Ma si cambia.
Ora mi capita di stringere le mani a direttori e amministratori delegati. Nove anni. E fra altri nove?
Come le tabelline, pensavo si potesse non cambiare. Fare il proprio lavoro per venti, trent’anni. Gli stessi gesti. Le stesse parole. Si diventa esperti.
Come le tabelline.
Meglio? Peggio?
Mi chiedo solo. Come sto ora?
Ma anche come ci sono arrivato?
Un po ci si sente trascinati. Potevo dire di no a un progetto o a una difficoltà? La vera libertà è poter dire di no, dice greg roberts. E allora è vero non sono sempre stato libero.
Ma altre volte l’artefice sono stato io.
Non sai resistere e ti butti a pesce su una sfida. Non ti accontenti di essere sufficiente. E cambi.
E fra nove anni? E fra trenta?
Ho gusto nel non saper rispondere.
Si che non faro’ gli stessi gesti. Non dirò le stesse parole.
E forse, il non saper ancora rispondere alla domanda su cosa faro’ da grande è il miglior regalo che il mio lavoro mi potesse fare.

15 ottobre 2010 at 10:02 am 2 commenti

Roambi

Ho scoperto uno strumento molto interessante per produrre e distribuire report verso iphone e ipad. Si chiama Roambi (http://www.roambi.com/).

In visita a uno dei nostri clienti l’ultima settimana di luglio, otteniamo l’opportunità di mostrare nella prima settimana di settembre un mockup avanzato di un modo per portare i loro report su ipad. Si parla dei report destinati al board of directors. Si parla di mostrarlo all’AD. Ricordandosi delle ferie, si lavora in due direzioni. Lo sviluppo custom e un app bell’e pronta.

In questi casi lo sviluppo custom dà i risultati migliori. Consente di riportare in digitale tutti i valori su cui il team del cliente ha lavorato in questi anni, mantenendo tutti i risultati conseguiti finora. E aggiungendo interazione e rappresentazioni nuove. Si riesce a dimostrare che è possibile non perdere nulla e guadagnare in chiarezza e semplicità.

Dall’altra parte, le applicazioni ready-to-use offrono funzionalità già implementate (altro che mockup), modelli già definiti, al costo in genere di una personalizzabilità molto inferiore. ma con tempi di sviluppo molto piu’ brevi.

Seguendo, per ora, entrambe le strade sono arrivato a Roambi.

Consente di creare report a partire da formati e sorgenti dati molto comuni in ambito enterprise. Excel, Crystal Report, Business Objects, Salesforce, … . I report possono essere visti su iphone e ipad attraverso la loro applicazione gratuita.

Ho un set di template di report già pronti molto belli. Il brutto? il set dei template delimita il mondo. non è possibile creare report personalizzati se non nei binari stabiliti a monte da Roambi. I risultati però sono sorprendenti, li si puo’ vedere anche dai report sample che ci sono con l’app.

Non mi dispiacerebbe avere la possibilità di embeddare un loro report in un’altra applicazione, o in una pagina web disegnata per ipad/iphone.

11 agosto 2010 at 22:52 PM 1 commento

Il buffer è ancora lo stesso

Il buffer è ancora lo stesso, non è aumentato.

Sono nuovamente a tappo. il fatto di scrivere questo post alle 19.20 di domenica dopo una giornata di lavoro e sapere che non ho fatto ancora tutto indica che ho riempito anche il secondo buffer, quello di scorta delle ultra-emergenze (che coincide con quello della famiglia).

Ho ancora 2 giorni per evitare di danneggiare qualche progetto. mah. Nel post precedente avevo promesso che ci avrei pensato, evidentemente non ci ho pensato abbastanza.

Stavolta ci vuole una soluzione. Seria.

22 novembre 2009 at 19:20 PM 3 commenti

Risolvere i problemi degli altri

Spesso ci capita di dover risolvere problemi che non condividiamo. E se condividiamo il problema, non è nella nostra responsabilità o possibilità risolverlo.

Da consulente, più di una volta mi è accaduto di essere chiamato da un cliente per trovare una soluzione a un suo problema. Nella maggior parte dei casi, la causa del problema risiede in scelte o situazioni in cui, fosse stato per noi, non ci saremmo messi. Ai nostri occhi la soluzione del problema non deve essere cercata poichè escludiamo a monte l’esistenza del problema.

“Ho bisogno di un server più potente, perchè per fare il lavoro x ci mette troppo tempo”. Arriviamo noi e per prima cosa diciamo “il lavoro x è pensato male. se lo rifacessi in un modo diverso o non lo facessi affatto, non avresti nemmeno il problema del server”. Così non si risolve il problema, lo si esclude.

E’ come quando un ragazzino va dall’adulto a portargli il tipico problema con i coetanei o a scuola, e l’adulta risponde con un “ma va là che non è niente”. Non è niente per chi?

Nel nostro punto di vista, stiamo facendo il servizio migliore in assoluto. Non serve spendere tempo e fatica a trovare una soluzione per un problema che non esiste. Eppure, la prima regola che dovrebbe seguire che risolve i problemi è comprenderli dal punto di vista di chi li vive. Chi è chiamato a risolvere, o a considerare un problema, è in genere qualcuno di completamente esterno al problema (ad esempio un consulente) oppure è qualcuno in una posizione privilegiata (un responsabile all’interno di una società, chiamato a considerare i problemi dei propri sottoposti). In entrambi i casi, la posizione porta ad avere una visione diversa del problema e della soluzione. In un caso per il distacco e l’indipendenza della visione (la terza parte), nell’altro per la maggiore visibilità e comprensione dei fenomeni, oltre che la possibiiltà di influenzarli.

Soprattutto all’interno di una azienda, quando una persona ci porta un problema, in genere lo fa perchè la nostra posizione o esperienza ci dà l’autorità o una minima possibilità di indicare una soluzione. Quando questo accade, difficilmente si tratta di un problema che possiamo condividere, proprio perchè la nostra posizione ci impedisce di viverlo. Minimizzarlo o peggio annullarlo (non comprendendone la natura) è la peggiore mossa che si possa fare.

La posizione privilegiata di chi è chiamato a risolvere i problemi dovrebbe a mio vedere essere sfruttata per due cose:

  • poter comprendere quale sia il vero problema. Spesso il problema che viene comunicato è solo in parte legato al problema vero. Questo accade sia perchè chi vive il problema non è completamente in grado di autodiagnosticarsi in modo obiettivo, sia perchè a volte il problema viene segnalato come risposta a una domanda precisa che svia o indirizza la risposta.
  • poter vedere soluzione diverse da quelle richieste o attese. Spesso chi segnala un problema lo fa richiedendo esplicitamente una soluzione (se il problema è che il lavoro x ci mette troppo, ti dico che ho bisogno di un server nuovo più potente). Non è detto che la soluzione richiesta sia quella ottimale, così come (legandosi al punto precedente) non è detto che risolva il vero problema.

27 luglio 2009 at 0:04 am 1 commento

Ammiro chi sa portare la giacca in treno

Ammiro sinceramente le persone che sanno portare la giacca, sempre e in qualunque situazione. Sono ormai per lo più persone anziane (non me ne vogliano gli altri). Li vedi nella calura estiva nella sala d’attesa di una stazione, attendere ore l’arrivo del treno. Li vedi poi salire e prendere posto su un intercity con l’aria condizionata balbuziente e rimanere composti per tutto il viaggio. A volte leggendo, a volte scartando con perizia un panino imbottito (loro li chiamano ancora così) preparato dalla premurosa compagna.

Quando all’arrivo si rialzano, hanno lo stesso contegno di quando sono usciti di casa, la piega del vestito ancora in posizione, la camicia nei pantaloni, la giacca liscia. Tutti gli altri passeggeri si erano vestiti “comodi”, con magliette e pantaloncini, che nel corso del viaggio si sono macchiati di sudore e spiegazzati.

Riconosco in queste persone una capacità per tutti gli altri irraggiungibile. La insegnavano a scuola? O forse a noi non è mai capitato di avere un solo vestito, quello buono, da tenere caro per anni, perchè poi lo si dovrà passare al fratello minore. Se oggi torniamo a casa con il vestito gualcito, la mamma o la moglie ce lo porta in tintoria a farlo rinfrescare.

Forse sono queste esperienze che ti attaccano addosso la capacità di conservare le cose intatte. E forse non vale solo per i vestiti, ma per tutti gli oggetti. Quanto spesso una volta eran da cambiare le cose? Non credo, come dicono in molti, che oggi gli oggetti sono fatti peggio, con materiali più scadenti, per cui durano di meno. Forse siamo noi a essere cambiati e diamo così meno importanza alle cose.

26 luglio 2009 at 23:38 PM Lascia un commento

ma dov’è la semplicità?

E’ vero che il movimento della simplicity esiste da poco tempo, ma non ci vuole molto a capire che le istruzioni per accedere a questo servizio sono un po’ troppo complicate.

16052009

14 giugno 2009 at 5:20 am Lascia un commento

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